Combustione umana spontanea: fenomeno naturale o paranormale?
Combustione umana spontanea, nota anche come SHC dall’inglese Spontaneous Human Combustion, fa riferimento a un presunto fenomeno naturale per il quale, in determinate circostanze, un corpo umano potrebbe prendere fuoco e bruciare senza fonti esterne di innesco. L’argomento è oggetto di numerose teorie e studi ma non sono stati raggiunti risultati condivisi in merito all’esistenza di una reazione chimica all’interno del corpo che possa produrre tali risultati. Con Altrarealta.com approfondiremo l’argomento presentando anche alcuni casi verificatisi nel corso della storia.
Una serie di decessi negli ultimi tre secoli sono stati attribuiti proprio alla combustione spontanea. Uno dei primi casi documentati fu Nicole Millet, nel 1725. La donna aveva problemi di alcolismo e nell’occasione il marito venne accusato del suo omicidio. Altro caso è relativo alla contessa Cornelia Bandi di Cesena che nel 1731 all’età di sessantadue anni, fu ritrovata nella sua stanza ridotta quasi completamente in cenere. Più recentemente altri casi sono stati, non ufficialmente, classificati come combustione spontanea, tra cui Phyllis Newcombe 27 agosto 1938, Mary Reeser il giorno 2 luglio 1951, il dottor Irving Bentley a Coudersport in Pennsylvania il 5 dicembre del 1966, e nel 1980, a Gwent nel Galles, Henry Thomas, 72 anni.
Le caratteristiche che solitamente vengono attribuite al fenomeno sono quelle di produrre un calore molto alto ma contenuto in una zona circoscritta. Il corpo della vittima viene rinvenuto quasi completamente incenerito (per bruciare un corpo sono necessarie temperature intorno ai 1.000 gradi come quelli usati nei moderni forni crematori) e tuttavia gli ambienti non risulterebbero particolarmente danneggiati dalle fiamme.
C’è una spiegazione al fenomeno di combustione umana spontanea?

Caso di combustione umana spontanea
Alcuni hanno giustificato tali fenomeni con una sorta di effetto stoppino o effetto candela inverso. Solitamente infatti le vittime sono sovrappeso o obese e sono presenti fonti di calore esterne (pipe, sigarette, camini, stufe o simili). Quando i vestiti iniziano a bruciare il grasso presente nel corpo del soggetto inizierebbe a liquefarsi alimentando la fiamma. Alcuni ipotizzano che il metano prodotto a livello intestinale, da parte di batteri metanogeni e legato alla digestione del cibo, possa essere rilasciato attraverso pori della pelle.
Una volta nell’aria, il metano può prendere fuoco a causa di una scintilla o di una qualsiasi fonte in grado di innescare una fiamma. Un’altra spiegazione popolare è quella che il corpo di soggetti dediti agli alcolici possa essere talmente intriso di alcol da poter prender fuoco.
Tale spiegazione non sembra avere fondamento scientifico, in quanto il corpo umano è composto in gran parte da acqua ed inoltre l’alcol ucciderebbe la persona prima di raggiungere concentrazioni necessarie per bruciare. Più verosimile è l’ipotesi per cui l’alcolismo (o una dieta ricca di grassi e povera di carboidrati) induca nel soggetto uno stato di chetosi, con produzione di acetone, volatile ed altamente infiammabile a contatto con l’aria, per cui potrebbe portare all’innesco della combustione.
Combustione umana spontanea: la tesi del professor Ford
A sostenere questa ipotesi fu Brian J Ford, professore di varie università inglesi, ricercatore indipendente in biologia, scrittore, conferenziere, divulgatore. I suoi vastissimi interessi gli hanno conferito grande popolarità e anche qualche scontro con altri esperti – come quando ha riproposto la vecchia teoria che i dinosauri potessero essere acquatici.
In due articoli su The Microscope e sul New Scientist del 2012, Ford riassume vari casi di presunta combustione umana spontanea, critica il primo documentario della BBC che sosteneva il meccanismo della candela inversa e avanza una nuova ipotesi. La causa più probabile dell’effetto della autocombustione spontanea, secondo Ford, può essere l’acetone che, a causa di alcune patologie, può accumularsi nel corpo umano.
L’acetone è un composto (usato anche come solvente per le unghie) che bolle a 56 gradi, è infiammabile, miscibile con acqua e in grado di sciogliersi nei grassi. La chetosi (accumulo di acetone, con il caratteristico odore del fiato) è una produzione anomala di acetone da parte dei processi metabolici, che si può verificare in casi di alcolismo, cattiva alimentazione povera di carboidrati e diabete. Ford riporta alcuni esperimenti da lui eseguiti. Un pezzo di carne di maiale, lasciato in alcool per vario tempo e poi avvolto in un tessuto, non ha prodotto il fenomeno della “candela inversa” quando è stato dato fuoco al tessuto. Al contrario, la carne imbevuta per cinque giorni in acetone ha preso fuoco facilmente, ed è bruciata lasciando la caratteristica pozza di grasso fuso.
Le congetture di Ford sembrano però poco convincenti per vari motivi, tra i quali:
– si tende ad alterare certi dati, abbreviando il tempo minimo necessario per la combustione di un corpo, e dando valore alle testimonianze oculari – non più di un paio – di chi ha visto persone che improvvisamente prendono fuoco (ma portavano abiti fatti con materiale infiammabile);
– si presume che la reale combustione umana spontanea possa durare anche solo mezz’ora o un’ora, e si dice che il modellino umano in scala 1:12 (tipo Barbie) è bruciato per 40 minuti, come nella realtà. Si aggiunge che un corpo di massa 12 volte maggiore brucerebbe circa nello stesso tempo. Affermazione discutibile, visto che è esperienza comune che invece un piccolo pezzo di legno, per es., si consuma ben prima di uno grosso;
– non si fa alcun cenno nè esperimento per affrontare il problema delle ossa e capire se in queste condizioni si sbriciolerebbero o no;
– si afferma che una miscela di acetone al 14% in acqua è ancora infiammabile, e si lasciano immersi i tessuti animali da utilizzare per 5 giorni in acetone. Ma sembra inverosimile che le vittime di SHC debbano avere una concentrazione di acetone nel plasma del 14%, visto che tipicamente l’acetosi grave comporta concentrazioni attorno a 1,6-2 g/litro di corpi chetonici (non solo acetone, ma anche acido beta-idrossibutirrico e acido acetacetico);
– anche ammettendo l’esistenza di una patologia che alzi di colpo il livello di corpi chetonici di 100 volte, dovremmo aspettarci che non tutte queste persone abbiano preso fuoco immediatamente, ma che qualcuna sia stata esaminata, i suoi sintomi descritti e la malattia metabolica, per quanto rara, riconosciuta e studiata da tempo.
Fonte Parziale: Wikipedia, Youtube