OOPArt – Oggetti misteriosi fuori dal tempo
OOPArt è un acronimo derivante dall’inglese Out of Place Artifacts, ossia reperti fuori posto. Scopriamo con Altrarealtà.com di cosa si tratta.
Il termine è stato coniato dal criptozoologo americano Ivan Sanderson per dare un nome a una categoria di oggetti che sembrerebbero avere una difficile collocazione storica, rappresentando di fatto un anacronismo. Sono classificati come tali quei reperti archeologici o paleontologici che, secondo comuni convinzioni riguardo al passato, si suppone non sarebbero mai potuti esistere nell’epoca a cui si riferiscono le datazioni iniziali.
Avevamo fatto un riferimento ad un caso che richiamava il concetto di OOPArt parlandovi del film The Circus di Charlie Chaplin dove nella pellicola pochi fotogrammi ritrarrebbero una donna nell’atteggiamento di parlare al cellulare: cosa improbabile nel 1928.
OOPArt e il filone dell’Archeologia misteriosa
Da questi ritrovamenti, è nato il filone dell’Archeologia misteriosa o Pseudoarcheologia. La comunità scientifica non ha mai ritrovato in tali oggetti elementi o prove che le facessero apparire come anacronistiche, relegando le interpretazioni volte a sottolineare presunti anacronismi nell’ambito della pseudoscienza.
Molti OOPArt hanno infatti ricevuto un’interpretazione assolutamente in linea con le attuali conoscenze archeologiche e scientifiche. In tutti quei casi in cui non si è data una risposta.
Ciò si deve al fatto che non si è ancora capito il tipo di utilizzo che aveva l’oggetto o la descrizione dell’oggetto appare fumosa e inesatta oppure non si conosce il possessore dell’oggetto tanto da farne dubitare circa l’effettiva esistenza. Nel tempo gli OOPArt sono stati usati per supportare le più varie teorie pseudoscientifiche come quelle ufologiche e creazioniste.
Casi celebri di OOPart
Secondo le interpretazioni di sostenitori degli OOPArt, alcuni di questi oggetti metterebbero in crisi le teorie scientifiche e le conoscenze storiche consolidate. Tuttavia solo in rari casi tali affermazioni hanno avuto il sostegno della scienza, nel caso in cui sia provata la possibilità dell’esistenza di tali oggetti nel contesto storico in cui vengono collocati. Talvolta approfondite analisi riscontrano che i presunti OOPArt non appartengono al periodo storico attribuito in principio ma vengono datati come oggetti di epoche successive, andando così a svelare e sciogliere il mistero che li riguarda.

OOPArt in Perù
Vi sono degli reperti che secondo i sostenitori di OOPart sarebbero da verificare. Ad Hatun Rumiyoc, località peruviana, esistono enormi complessi edificati con blocchi di diorite, molti dei quali del peso di diverse tonnellate, modellati con una tal precisione da sembrare a molti incompatibile con le tecnologie dell’epoca. Sebbene l’archeologia ufficiale attribuisca queste costruzioni agli Incas, la differenza tra le costruzioni “a misura umana” messe in opera con l’aiuto di malte, e le gigantesche composizioni a puzzle che sorgono nei paraggi fanno sorgere dei dubbi anche negli studiosi. Essendo però non suscettibili di datazione (è impossibile eseguire test precisi data la messa in opera delle pietre e la loro grandezza) non costituiscono per la comunità scientifica alcuna prova circa l’esistenza di altre civiltà. Nei diversi siti si notano, inoltre, alcune strutture realizzate con misure diverse dagli standard costruttivi.
Le porte sono infatti di forma trapezoidale e con un’altezza che solitamente è intorno ai tre metri. La spiegazione ufficiale è che molte culture sovente costruivano porticati o strutture più grandi del normale per incutere un’impressione di solennità e grandezza. Alcuni sostenitori della cosiddetta pseudoscienza sostengono invece che siano una prova dell’esistenza di esseri diversi da noi, vissuti o passati dalla terra migliaia di anni fa.
Vi sono casi in cui è stata data una spiegazione all’ipotesi di OOPart come nel caso delle lampade di Dendera, oggetti oblunghi nascenti da un fiore di loto e contenenti un serpente, raffigurati in un bassorilievo di un tempio dedicato alla dea Hathor a Dendera. Gli egittologi unanimemente interpretano il disegno come parte della mitologia egizia legata al djed e al fiore di loto. I sostenitori della pseudo-archeologia invece vi vedono grandi lampade collegate con dei cavi a un generatore elettrico.

Pile Baghdad OOPArt
Tra gli OOPArt oggetto di approfonditi studi figura esserci anche la Batteria o Pila di Baghdad datata tra il 250 a.C. e il 250 d.C., conservata in 12 esemplari nel Museo Iracheno di Baghdad. È formata da una giara in ceramica contenente una guarnizione di metallo che avvolgeva un cilindro in ferro che a sua volta aveva un tappo in asfalto. Se riempita con del liquido a tendenza acida essa produrrebbe potenzialmente energia similmente al sistema della pila carbone-zinco. Tale processo si pensa venisse utilizzato solo per la placcatura dei pezzi di metallo, data la complessità dello sviluppo di un circuito elettrico. Molti altri invece considerano sia una casualità che i materiali utilizzati producano energia se sollecitati e che in realtà si tratti di un sistema per la conservazione di rotoli sacri di papiro.
Fonte Parziale: Amazon